anonymous
2010-03-10 01:18:03 UTC
Se Michelle Obama ci prova con le buone (mangiando frutta e verdura del suo orto agrobiologico, giocando al calcetto con le figlie), altri in America hanno sposato la campagna anti-obesità con metodi più duri. Per una Mo'Nique - la mamma del film "Precious" - che vince l'Oscar, ci sono milioni di sosia che sono le vittime di una nuova caccia alle streghe. E adesso gli obesi dicono basta. A guidare la loro rivolta è una galassia di organizzazioni unite dallo stesso obiettivo: denunciano la persecuzione lanciata dai magri come una forma di razzismo. La più radicale si chiama Fat!So? (Grasso! E allora?). La più ufficiale è la National Association to Advance Fat Acceptance, l'associazione nazionale per promuovere l'accettazione dei grassi. Sono i nuovi movimenti per l'autodifesa degli obesi. Il loro grido di rabbia: siamo i nuovi paria, cittadini di serie B, con la scusa che l'obesità è un'epidemia costosa per la collettività, ogni vessazione contro di noi è lecita.
I leader ideologici di questa protesta sono una strana coppia. Lui, il giurista Paul Campos che ha una cattedra alla Colorado Law School, ha una linea normale (alto 1 metro e 73 centimentri, pesa 75 chili) ma ha sposato la causa per amor di giustizia, scrivendo il manifesto "The Obesity Myth". Lei, Marilyn Wann, un metro e 63 per 130 chili, fa parte delle taglie Xxl (extra-extra-large), ed è la fondatrice di Fat!So? Insieme hanno lanciato sul Daily News un appello congiunto dal titolo: "Ciccioni è ora di reagire". I due denunciano gli episodi più recenti della caccia all'obeso: il regista cinematografico Kevin Smith lasciato a terra perché giudicato troppo grasso al check-in dell'aeroporto, il governatore del New Jersey che nell'ultima campagna elettorale ha apertamente deriso il suo avversario come un ciccione. "I grassi - scrivono i due leader della ribellione - hanno meno probabilità di essere assunti in un'azienda, se trovano un posto vengono pagati meno, sono discriminati nelle ammissioni alle università, si vedono negare le cure mediche, i sedili degli aeroplani, e quando entrano in un negozio di vestiti sono i clienti più bistrattati. Sono trattati come dei sotto-uomini". Sulla stessa lunghezza d'onda è Jason Docherty, presidente dell'associazione per l'accettazione dei grassi: "L'America è la nazione del politically correct, dove in linea di principio non è consentito neppure fare dell'ironia in base al sesso, all'etnia, alla religione. L'unico caso in cui è diventato accettabile una sorta di linciaggio psicologico, è contro gli obesi".
Il contro-argomento è evidente. Gli Stati Uniti spendono ormai 344 miliardi di dollari all'anno per curare le patologie legate al peso (dal diabete alle malattie respiratorie), ed entro otto anni il 21% di tutta la spesa sanitaria americana sarà assorbita dai malati sovrappeso. Per questo, dalla città di San Francisco allo Stato dell'Illinois, anche l'arma fiscale viene usata per contrastare la mala-alimentazione: l'ultima trovata sono le tasse contro i soft-drink (bibite gassate e zuccherate), contro i dolciumi e altro cibo-spazzatura. Ma anche questo è un accanimento fine a se stesso, secondo la sociologa Katie Le Besco del Marymount Manhattan College: "E' un altro modo per dire: sei grasso, paga. Ed è una tassa sui poveri, perché purtroppo il junk-food è dominante nella dieta delle classi sociali più sfavorite".